mercoledì 3 dicembre 2008

David, Ytzaq ed Amir

Una piccola premessa. A fondo pagina c è un filmato. Se volete sentire anche voi la musica che David ascolta, non avete che da clikkare, è un gruppo israeliano di musica psy-trance, gli "Infected Mushrooms"; la luce di Tel Aviv.

David arriva nell' uliveto che la musica è già cominciata. E' un pezzo che comincia dolcemente. Sembra cullare le persone, molte, ma non tantissime, accalcate sotto la consolle del DJ, sotto le casse, sotto la fonte del cibo delle loro anime. Ma David sa. Sa che quell' inizio sonnolento e suadente è un trucco, una preparazione, la quiete prima della tempesta. Ha il tempo per girarsi un attimo verso Tel Aviv, le luci, il mare, prima che i bassi partano, prendendo di sprovvista il suo sterno, le sue orecchie, il suo cuore. Un attimo, e David è dentro la musica. Il rave, per lui è cominciato.



Amir è in casa. La registrazione è appena finita. Sua madre siede davanti a lui, in cucina. Il padre no. Il padre è morto, in una raid, anni fa. Ma è come se ci fosse. E' la presenza che silenziosamente e inesorabilmente ha spinto Amir in tutti questi anni. Fino a condurlo a stasera, alla registrazione, alla cintura pronta, alle abluzioni, al martirio. Amir guarda fuori dalla finestra, guarda i suoi fratelli, il tavolo, le sue mani; Amir guarda tutto ciò che possa distogliere il suo sguardo dalla madre. Quella madre che si sente più madre, che palestinese, stasera.



Ytzaq saluta Rahel, la sua fidanzata. E' un bacio casto, di sfuggita: sono sotto casa di lei, e suo padre è un tipo all' antica, barba lunga e cappello nero, anche se alla fine è più aperto di molti altri. Tanto Ytzaq sa bene quali altri piaceri Rahel ha in serbo per lui, quando riusciranno di nuovo, una buona volta, a trovare un posto tranquillo e un paio d' ore tutte per loro. Lascia la sua fidanzata e torna verso la caserma. Qualche centinaio di metri. Fischietta un motivo. Ma non è sereno: domani devono entrare nella striscia, c è un' azione antiterrorismo. Routine. Ma una routine che ha già fatto i suoi morti. Ytzaq è preoccupato: riuscirà ad entrare di nuovo nel corpo accogliente di Rahel, o quel bacio è stato l' ultimo loro momento di vicinanza ?



Dio. Dio quei bassi. Non è David che segue la musica, è la musica che insegue David, lo bracca, i BPM sempre più veloci, sempre più frenetici. L' abbandono e l' estasi. Il corpo che si agita, gambe e braccia. Un unico groviglio di membra senza nessun pensiero al mondo che non fermarsi, non ancora. Ancora la musica martella. David non si è mai sentito così vicino a Dio in sinagoga. Si guarda attorno, un sorriso che gli rischiara il volto. Altri sorrisi gli rispondono.



Amir è ancora al tavolo. I suoi fratelli lo hanno salutato, con le lacrime agli occhi. Ma era orgoglio (forse non per Myriam, quella forse era tristezza, ma Myriam è diversa), non dolore. Le lacrime negli occhi di sua madre sono più difficili da affrontare, sono lacrime d' accusa, di disperazione. Forse, in qualche modo che ad Amir è oscuro, anche di odio. Più volte sua madre apre la bocca, come per dirgli qualcosa, e la richiude di scatto. Lui la guarda in tralice, chiedendosi perchè invece di restare qui a farsi accusare da quegli occhi, non esce, ad aspettare che il sole sorga. Ma Amir non vuole, quell' ultima notte con sua madre (quell' ultima notte e basta) la vuol vivere tutta, anche se fa soffrire.



Ytzaq è in caserma. Si avvia verso la camerata. I suoi commilitoni sono tutti ancora in piedi, eccitati e spaventati assieme. Si siede sul letto, scambia qualche parola con gli altri. Non ha ancora mai sparato a nessuno Ytzaq, non sa come potrà essere. Per il suo paese lo farà, ma non lo farà volentieri. Lo farà con dolore, con rabbia, ma se lo deve fare...Nonostante tutto Ytzaq si assopisce, ancora vestito, sul letto.



Quegli alti, Dio quegli alti. Come uno sciame di api argentate lo pungola a non smettere. E' un godimento quasi fisico. E' come un orgasmo, quando i bassi si spengono, la musica continua, come un rullare di tamburi. Ci si ferma un attimo, in attesa, ad ogni salita corrisponde una discesa folle e rapidissima. Ancora il DJ prolunga quel momento di sospensione. Tutti si fermano, qualcuno si abbassa sulle ginocchia...eccolo, eccolo, eccolo, eccolo, eccolo ! I bassi irrompono di nuovo prepotenti, e David salta nell' aria, libero, libero,libero.



Amir è salito in camera. Sa che non dormirà stanotte, domani va a morire. Va a morire per suo padre, va a morire per i suoi fratelli che non possono andare a scuola, va a morire per le umiliazioni subite da sua madre, dal suo popolo. Si stende sul letto. Va a morire per il suo paese, la sua gente, la sua religione. Chiude gli occhi. Sembra che l' unico per cui non va a morire sia lui, Amir. Lo farò con rabbia, pensa Amir, lo farò per amore, pensa Amir. Ho tanta paura, pensa Amir. Ed è l' ultimo pensiero. Sembra incredibile. Amir dorme.



Anche Ytzaq dorme, per quanto sembri incredibile.



David no. David balla.









martedì 25 novembre 2008

Illusioni


La fontana scroscia ininterrottamente, una vibrazione che non si limita ai timpani, ma che avverto con tutto il corpo, fin dentro la mente. Lei, bellissima nel suo vestito nero, si intravede da lontano, separata da turisti dai volti anonimi e spaventosi. Ogni sorriso è falso, ogni gesto teatrale e preparato, la realtà non è che un palcoscenico per me, stasera. Ancora non voglio raggiungerla, voglio vederla così, lontana e in cerca di me, senza che faccia ancora suonare le sue corde stasera. Il rumore ti entra nelle ossa e nell’ anima, sordo e costante, gareggia con il mio cuore affranto dalla sua bellezza, dai suoi capelli biondi e profumati come il miele, dai suoi occhi colmi di gelida acqua cristallina, dalla sua bocca come velluto o seta. Il suo sguardo incontra finalmente il mio, mi vede, e già la perfezione si perde, un emozione crepa la magnifica staticità di poco prima, e questo la rende ancor più perfetta.
Mi avvicino piano, gustando ogni passo che ci avvicina, ogni singola pietra della strada che ci porterà l’ uno nelle braccia dell’ altra. Il boato dell’ acqua squarcia l’ aria migliaia di volte al secondo, e ogni passo è un battito del mio, dei nostri, cuori. Spalanco le braccia per accoglierla, lei mi getta le braccia al collo, e nel momento del tanto agognato contatto, sparisce inesorabile davanti ai miei occhi.
Ancora una volta il fragore dell’ acqua non riesce a coprire la mia disperazione, ogni sera da anni ormai vengo qui, dove lei mi aspetta, dove attende per me la ragazza dei miei sogni, ogni sera diversa, ma sempre impalpabile. Una sera la severa svedese, l’ altra una lasciva colombiana, una volta l’ inesperto cerbiatto, l’ altra la vorace tigre; tutte diverse, tutte perfette, tutte fugaci come la visione di un delirio, come fumo disperso dal vento maligno, come l’ inesorabile musica di questa maledetta fontana, come i battiti del mio cuore, o i pensieri di questa mia mente malata d’ amore. Ancora una sera, ma giuro per Dio che sarà l’ ultima. La voce della fontana stasera sarà la mia voce, e la sua acqua le mie lacrime. Corro verso il bordo di marmo, mi tuffo nell’ acqua stantia, mi afferro al fondo, e giuro che non tornerò mai più. Eppure ancora quando esalo l’ ultimo dolente respiro, quando l’ ultima parte della mia anima esce da questo involucro privo di senso, mi sembra di vederla, lontana e bellissima, forse mora, bionda o rossa…sempre lontana…sempre atrocemente irreale.

domenica 23 novembre 2008

Le nebbie di R. (1)


Nella città di R. c'è una grande strada circolare, che circonda tutto l' abitato. E' un bel viale, che gli abitanti percorrono a piedi (certo non tutto, perchè la città è piccola sì, ma non minuscola) nei giorni di festa, e la domenica pomeriggio. Ci sono negozi, bar, ristoranti. Tutto è un po' dimesso, perchè la città è ricca sì, ma non opulenta. E la gente guarda le vetrine, gli oggetti esposti; ogni tanto compra, ma più che altro guarda.
Uno dei negozi su questa strada è un antiquario che sembra più un robivecchi, del signor M. Il signor M. ha due gatti, che porta con se al negozio, un maschio, nero, e una femmina, rossa, che chiama Benito e Claretta, nessuno in città sa se per strano senso d' umorismo o per nostalgico colore politico. Vende poco, il signor M., tiene il suo negozio più per fede che per guadagno. E si scalda nei freddi pomeriggi di R. con qualche cicchetto al bar vicino. Grappa, sambuca, ma senza mai esagerare, perchè il Signor M. ama bere sì, ma senza ubriacarsi.
Ogni pomeriggio fino a sera lo si vede nel suo lungo cappotto nero alla marinara, su uno sgabello, fuori dal negozio, a dispetto del freddo (a R. fa sempre freddo, sì, ma nessuno è mai morto assiderato). Guarda il semaforo che cambia colore, avvolto nella nebbia, e la gente passare, vestita di scuro, a braccia conserte (perchè, se anche nessuno è mai morto assiderato, fa freddo davvero a R) passare da macchie indistinte sfumate dalla bruma, a forme definite, di nuovo a macchie, man mano che si avvicinano a lui, e poi si riallontanano.
E gioca con Benito e Claretta, unica concessione al buon umore, del suo viso altrimenti serio, ma non triste, perchè il Signor M. è infelice, sì, ma non disperato, ed ha sempre un sorriso per i suoi gatti, ma non per i suoi clienti. Se passaste come me tutti i giorni davanti al negozio del Signor M., potreste vedere che, ad un bel momento, questo signore ne vecchio ne giovane, comincia a guardare a sinistra, insistentemente, finchè, come ad un segnale, si alza, mette Benito e Claretta in una cesta di vimini rovinata dalle unghiate, spegne le luci, abbassa la saracinesca, e se ne va.
Il fatto è che il signor M. ha una sua idiosincrasia per gli orologi, tanto che, anche nel negozio, non ne tratta alcuno, e non ne compra, anche se pensa di poterci guadagnare (il signor M. non disdegna il denaro,sì, ma non lo ama neanche al punto da rinunciare alle sue idiosincrasie). Perciò, ogni sera, si pone il problema, se sia venuta l' ora di chiudere o meno. Regolarsi con la luce non si può, perchè ad R. fa sempre buio presto. Allora il Signor M. da anni ed anni, quando pensa che l' ora si avvicini, guarda a sinistra, verso il negozio di stoffe, e quando la proprietaria abbassa la serranda, sempre tenendo una mano sulle reni (che non è ancora vecchia, sì, ma neanche più una ragazzina), anche lui si alza e chiude tutto.
E' buffo vedete, perchè il Signor M. non sa, che la signora non più ragazzina del negozio di stoffe, che tiene un santino di San P. e l' ulivo benedetto a prender polvere dietro alla cassa, anche lei non chiude secondo l' orologio, che sono anni che non sopporta il ticchettio delle lancette. Quel rumore le ricorda troppo il tempo che vola, sempre uguale a vender seta e cotone, da poche lire, e a veder sfiorire il corpo ed i sogni davanti al grande specchio. Non vuole niente che le ricordi del suo passato grande amore, F., che l' ha lasciata un giorno per la sua giovane lavorante. E allora ogni sera, appena prima del Signor M., la signora del negozio di stoffe guarda a sinistra, verso l' alimentari, dieci metri più avanti, aspettando che la coppia di gestori esca a chiudere tutto, portandosi via grandi scatole ogni sera, del cui contenuto nessuno sa nulla.
Ed ogni sera la coppia dell' alimentari, che ha passato la giornata a toglier muffa dai formaggi e premere la bilancia col pollice durante le pesate, che clientela abituale non ne hanno, e chi entra è qualcuno su cui far guadagno, all' ora giusta comincia a guardare a sinistra, dal barbiere, che saluta l' ultimo cliente e chiude con la catena. Allora anche loro levano tutto, mettono nella scatola grande quello che non si può più tenere, per venderlo a poco alla mensa dei poveri (che tutto fa brodo), chiudono il negozio e tornano a casa, senza dirsi una parola, come han fatto per tutto il giorno.
E il barbiere, che è amico di tutti i suoi clienti fin tanto che ha la mano leggera, ma poi chissà; capace di parlare di tutto e di niente per ore e ore, intrattenendo persone che in realtà disprezza, che pensa il farsi fare la barba un inutile vezzo, quando sente che l' appetito cresce, esce di bottega, si appoggia all' asta che gira come una vite infinita e guarda a sinistra, verso il suo vicino il fornaio.
E il fornaio, accaldato ancora a quell' ora, quando viene il tempo...
Ma avete già capito no ?
La cosa buffa insomma è che ognuno guarda il suo vicino, a sinistra, e tutti chiudono quando chiudono gli altri. E se, trasportati dalla logica, mi diceste che così, se qualcuno aspetta il Signor M. per chiudere, diciamo il vecchio librario che occupa il negozio dieci metri sulla destra del Signor M., nessuno chiuderebbe mai, perchè la strada è circolare, io vi risponderei, come in effetti faccio, che non siete mai stati nelle nebbie di R., e non avete mai calcato quelle strade, che R. è una città come un' altra sì, ma non del tutto, e che la bruma fa scherzi strani, alle volte.

giovedì 20 novembre 2008

Il giorno che non fumai neanche una canna


Roma aveva quel giorno un aspetto irreale, fuorviante direi,se mi passate il termine non proprio convenzionale. Forse era colpa di quel cielo rosso e verde, sgombro di nubi ,ma saturo di merda e gas di scarico, o forse quello strano senso di irrealtà era dato dal caldo opprimente che saliva dalle strade e dai palazzi, non rallegrato neanche da un piccolo filo di vento. Altro che ponentino ! Mi aggiravo per la città deserta piena di gente, piena di turisti e di romani, e tutti parlavano idiomi a me sconosciuti; quel giorno anche la mia lingua madre mi sembrava esotica e irriconoscibile, rendendomi impossibile ogni comunicazione con altri esseri umani, di qualsivoglia sesso, razza, religione, gruppo etnico, ceto sociale, quartiere, regione, nazionalità, status giuridico di rifugiato politico, appartenenza politica, appartenenza ad una minoranza and so on and on. O forse era quello che i miei sensi bugiardi (e vi assicuro che non sono stati bugiardi fin dalla nascita, io fino a quel giorno avevo una percezione, non dico per tirarmela, vicinissima alla realtà percepita attraverso il senso comune dal 99% della popolazione mondiale) mi facevano vedere/sentire/toccare/odorare/gustare in un modo incomunicabile ai più ! Secondo voi, rispondete sinceramente, non mentite solo per farmi piacere, avrei potuto dire all’ edicolante vicino alla stazione Termini “Buondì buon uomo, avete notato che strano cielo rosso e verde abbiamo in data odierna ?” O magari sarei dovuto andare dalle stupide guardie private della stazione e dire “Ora, non vorrei mettervi in allarme, ma avete notato che quest’ oggi i turisti giapponesi hanno tutti 4 braccia ?” Capite che la cosa non sarebbe stata accettata benissimo dai più, che probabilmente avrebbero gentilmente ma fermamente insistito per farmi internare in una casa di cura per persone affette da disturbi psico-socio-patologici (manicomi non si può più dire !). No, no e no ! Dovevo bellamente ignorare tutte le stranezze di quella giornata completamente assurda e continuare il mio girello turistico della capitale (non che per me fosse sconosciuta, vi abitavo da anni, ma sinceramente non l’avevo malvista in quelle condizioni). Decisi quindi, animato da un profondo spirito di esplorazione, di prendere la metro per vedere com’ era ridotta la mia bella città improvvisamente trasformata in un libro di P. K. Dick. Allora eccomi che bel bello salgo su un umidissima e appicicosa lingua mobile che mi porta alla metro (notare che una volta al posto della lingua c’ erano delle banalissime scale mobili…ora, io odio le cose banali, ma sinceramente preferivo le scale !) popolata di strani personaggi, alcuni dei quali in realtà non hanno assolutamente nulla di anormale, sono anzi perfettamente inseriti in un normale contesto di razionalità sana e non patologica, ma è proprio questo che me li fa sembrare ancora più assurdi,circondati come sono da giapponesi con quattro braccia, americani (dio come odio gli americani !) senza occhi, qualche sparso magrebino con le ali dell’ arcangelo Ismaele e rari cinesi chi con la testa al contrario e chi con i piedi enormi.
Penso che forse è meglio farmi i cazzi miei, perché magari le persone apparentemente normali hanno qualcosa che non va nella testa, visto che si sono salvati dalla deformità di questa giornata allucinante (o allucinata, o allucinatoria, o allucinevole ? Dio com’ è ricco di vocaboli vari e circostanziati l’ italiano !) Comunque, tornando a me, aspettai sulla banchina l’ arrivo della metro, che per gentile concessione di quel maledetto psicopatico con la barba che ci ha cacciato dall’ Eden per avergli rubato una mela ( se gli rubavamo un kiwi probabilmente faceva partorire anche gli uomini !), mi si presenta sotto la simpatica e amichevole forma di un enorme cane bassotto, corredato di orecchie penzoloni e palle cascanti. La gente, stupita come un parigino che guarda la torre Eiffel, prende ad arrampicarsi sulla schiena dell’ enorme cagnolone aggrappandosi a peli grandi come liane. Ora, voi direte: “Ma sei scemo a salire su un enorme cane bassotto che corre nelle gallerie scavate sotto la caput mundi ?” E io vi rispondo bel bello che a volte, se ci si vuole spostare in città, bisogna pur sopportare qualche disagio, o no ? Non è che uno può rimanere confinato a casa soltanto perché c’ è troppo traffico, non si trovano parcheggi o perché la metro è stata sostituita da un mastodontico cane bassotto !Mica siamo pensionati (con buona pace dei pensionati che, se si fanno un piccolo esame di coscienza, capiscono che sto dicendo solo la verità). Comunque in fondo il metro-cane non era poi così scomodo (a parte una puzza proporzionata alle dimensioni della pelliccia) e si fermava regolarmente ad ogni stazione. Pensate che c’ era anche la vocina che diceva “Repubblica, next stop Barberini”, tutto questo a guaiti e abbaii (ma si dice abbaii ? Oddio non è che adesso non capite questa parola ? Se vorrete avere precisazioni sul corretto uso della parola “abbaii” nella letteratura italiana dal 1200 a oggi chiamatemi e vi consiglierò un buon libro di letteratura) che risultavano comunque intelligibili.
Com’ è come non è, dopo un viaggio strano ma non spiacevole, passate le mie brave fermate eccomi scendere, insieme ad una frotta di turisti della domenica (anche se forse era un lunedì) a piazza di Spagna, per farmi il consueto giretto centrale, la consueta salita di Trinità dei Monti e, perché no, il consueto girello al Pincio. Ecco, non so se avete presente piazza di Spagna (parlo di quando è in condizioni normali, non di quando sembra un fottuto quadro di Dalì). Comunque sia, se ce l’ avete presente, a meno che non abbiate ereditato buona parte dei vostri geni dal Neandhertal, non potete rimanere indifferente: esci da quella tana di talpa che è la metro, fai due passi, ti giri…ed ecco Trinità dei Monti in tutta la sua bellezza. Pensate che in primavera ci mettono anche delle enormi aiuole di fiori di tutti i colori, e i gradini sono sempre stipati di turisti americani (ebbene sì, ancora loro), tedeschi e di immancabili giapponesi… un bel colpo d’ occhio. Solo che quel giorno i fiori erano stati sostituiti a mia insaputa da un mare di crani di babbuino pitturati in tinte pastello molto fashion nelle collezioni primavera estate di quest’ anno. Probabilmente vi chiederete come facessi a sapere che erano crani di babbuino e che so, non di neonato. Be’ in realtà non è che ne avessi la certezza assoluta, diciamo che dai canini pronunciati e dalle dimensioni mi sembravano crani di babbuino, magari poi erano macachi o gibboni, non fate i puntigliosi ! Non è che uno per descrivere uno stupido delirio si deve mettere a studiare zoologia no ! Comunque i fiori non erano l’ unica cosa ad essere cambiata; la scalinata era infatti ricoperta da un fitto tappeto di vite americana (o mio dio quanto rompono questi maledetti americani !) di quella che diventa rossa d’ autunno, solo che questa, evidentemente, era transgenica, o forse transalpina, fatto sta che anziché essere rossa d’ autunno, era diventata bianca d’ estate. E non parlo di un bianco plausibile, assolutamente no ! Non vi fleshate che fosse bianca come una betulla o che so io ! Era il bianco meno plausibile che io avessi mai visto, e non intendo plausibile per una pianta: intendo plausibile in assoluto, assolutamente stupido, blando e privo di qualsivoglia rapporto con precedenti dati del percetto. Ma la vite bianca, i colpi di scena non finiscono mai, non era ancora l’ultimo cambiamento. (Vorrei operare un piccolo chiarimento:questa scena che sto descrivendo…descrivendo è una parola grossa…diciamo enunciando (anche se in realtà come grossezza anche questa non scherza, a prima vista il numero di lettere mi sembra uguale) COMUNQUE, questa scena non è che io l’ abbia abbracciata così in quattro e quattro otto ! C’ ho messo un fottio di tempo per rilevare tutto cio ! Questo per amor di cronaca). Il cambiamento più entusiasmante (nell’ etimologia greca del termine) era nei turisti affollati sulla scalinata, che non stavano tutti seduti a fumare o a provarci fra loro, o comunque con la faccia inebetita a contemplare una città che nel loro paese se la sognano, no ! I bastardi erano tutti mischiati:americani, cinesi, giapponesi, indiani d’ america, indiani d’ india, indiani che fanno gli indiani nel senso che fingono di non capire, tedeschi, finlandesi, comunitari e extracomunitari avevano improvvisato un bel trenino che serpeggiava lungo tutta la scalinata seguendo la musica di un DJ che, a prima vista, sembrava uno di quei bei gattoni randagi che bazzicano i fori imperiali, con tanto di bandana, occhiale da sole e smascellamento da extasy! Il fatto che oltretutto quel simpatico animaletto stesse passando “PA PA PA PA CIUHAUHA !” Rendeva la cosa trenta volte più ridicola e quindici più irritante. Lo spettacolo, per quanto affascinante, non era esattamente atto a catturarmi l’ attenzione, quindi, dopo un ultimo ma ben visibile sguardo di disapprovazione per tutto quel can can (o forse quel gat gat AH AH AH !!!!!!!), mi diressi, sentendo un certo languore, verso il McDonald di piazza di Spagna.
Ora, ci vorrebbe una piccola parentesi che riassuma i miei rapporti col Mc. Anche quando non sono in preda a deliri e allucinazioni non amo particolarmente quella maledetta multinazionale sforna obesi, né vado pazzo per i suoi squallidi prodotti…PERO’ devo ammettere che, in preda alle fami chimiche più pesanti e con soli 3 euri in tasca, voi dove cazzo andreste e togliervi uno sfizio ???? Comunque non siamo qui a parlare di boicottaggi e, che vi piaccia o no, era proprio verso quel luogo di perdizione capitalistica che mi stavo dirigendo. Passando davanti all’ ambasciata spagnola ebbi una simpatica sorpresa: sul portone non sventolava più la bandiera rossa e gialla ma un enorme bandierone basco con la a di anarchia stampata sopra e, last but not least, da dentro il palazzo provenivano le note di “a la mierda” degli Ska-p. Essendo il portone aperto feci capoccella nel cortile e vidi l’ intero gruppo anarchico spagnolo suonare allegramente alla compiaciuta presenza dell’ ambasciatore e di quel faccione da pirla del principe Felipe e di suo padre Juan Carlos. La scena era resa ancora più agghiacciante dal fatto che il beneamato re aveva due teste, ed una delle due era nientemeno che la testa del ancora più beneamato generalissimo Francisco Franco campione internazionale di garrota ! Ne avevo avuto abbastanza di politica estera, e lo stomaco brontolava, quindi smisi di fare capoccella, ignorai i turchi ottomani (nel senso fisico e non etnologico della parola) che stazionavano sotto l’ obelisco col loro bel bazar vendendo teste rimpicciolite di elettricisti statunitensi e riuscii a raggiungere l’ ingresso del Mc. Ed ecco che appena fuori dal Mc, in una splendida tunica rossa con tanto d’ alloro in testa stava il sommo poeta Dante, tutto preso con fiero cipiglio ad azzannare un enorme panozzo ripieno, a prima vista, di ghiaia e acido per batterie. Ed ecco che egli mi guardò e mi disse (schizzando acido di batteria e ketchup ad ogni sillaba):”Come io fui guidato nel tenebroso orco, così adesso seguir tu mi puoi, se ti confà, affinché duce io esser ti possa in questo moderno Orco !”. Dopo un attenta considerazione gli sparai una bella testata in pieno su quel suo naso a becco e, mentre era chinato dal dolore, un bel pugno sulla nuca. “Caro il mio Dante, passi l’ inferno ! Ma quella sega del paradiso era indispensabile ? E il cantico di San Bernardo ? E Cacciaguida ? E Beatrice ?” Ed ogni nome o cantica era allegramente seguita da un calcione nel culo. Dopo un po’, cessata l’ iniziale incazzatura, fui preso da pietà e, risollevato l’ incubo di molti studenti, gli dissi allegramente che, se voleva veramente, poteva essere la mia guida in quella Roma stravolta dagli eventi. Un po’ confuso lui mi rispose che gli sarebbe piaciuto molto ma che, evidentemente, si doveva essere sbagliato, e che era un altro il giovane che attendeva, quindi, alzandosi la tunica, trotterellò via di buona lena. Decisi di fregarmene ed entrai nella caverna umida che avevano messo al posto del Mc. Entrando, notai per prima cosa diversi manifesti del Sub Comandante Marcos assieme a Ronald Mc Donald in diverse pose, sempre e comunque con entrambi intenti a mangiare con gusto un panino; in bella vista c’era anche un cartello con l’ happy meal del mese: dentro ogni confezione si potevano trovare i pupazzi originali della rivoluzione d’ ottobre, con tanto di scheda biografica. La cosa mi fece un certo effetto e, una volta adattati gli occhi alla penombra del locale, mi guardai meglio intorno: i tavolini erano occupati per la maggior parte da alcune amebe di bell’ aspetto che indossavano tutte lo stesso cappellino giallo (immagino che fosse un gruppo organizzato). I tavoli a cui non sedevano le amebe erano occupate da campioni di varia disumanità: mucche con gli occhi arrossati dal crack e la stanchezza, due muli intenti a giocare a carte, un paio di turisti giapponesi (questi però avevano la particolarità di avere gli occhi a mandorla dal lato sbagliato della testa). Al bancone servivano degli scimpanzé vestiti da pagliacci, sorvegliati da un grosso gorilla con la cravatta che aveva la targhetta di direttore appuntata direttamente sul petto. Mi avvicinai e diedi un occhiata al menù: la cosa più appetibile mi sembravano le polpette di soia, crusca, fieno e scarabei stercorari, dato che ero convinto di non voler assaggiare un panino con l’ acido di batteria o con la ghiaia; quindi ordinai una porzione di polpette che lo scimpanzé cassiere mi consegnò solertemente per il modico prezzo di 2 euri. Non mi azzardai a chiedergli le salse non volendo avere altre butte sorprese e me la filai. Decisi che forse sarebbe stato interessante farsi un giretto dalle parti del colosseo e del circo massimo, per vedere cosa mi riservava quella giornata allucinante. Mi rituffai quindi nella metro e risalii sul bassotto, pensando intanto che forse, quel giorno, era meglio non fumare niente più che sigarette, dato che le allucinazioni viaggiavano già a camionette per cazzi loro.

martedì 18 novembre 2008

Il caffè fa bene


Ho gli occhi ancora appannati dai vapori del sonno.
La scuola sembra ancora chiusa: io, quattro studenti assonnati come me, i bidelli.
Davanti al distributore c’è qualcuno…il mio caffè del mattino dovrà aspettare…ma forse non troppo.
Le gambe strascicate mi avvicinano contro voglia alla figura china sulla macchina, mi sembra di nuotare contro corrente !-Dà problemi ? Fa sempre così con chi non conosce !- Alle otto del mattino l’ unica è buttarla sull’ ironia.
La figura (figura, ma che razza di appellativo per un essere umano ?! Sarà il maledetto sonno, ho davvero bisogno del caffè) si volta e mi sorride…ok, oggi non ho bisogno del mio caffè: mi è bastata lei.
La guardo con gli occhi sgranati, probabilmente mi ha preso per scemo ! Ma chi è ? Non l’ ho mai vista qui, e dire che ci sto da cinque anni…sarà del primo ! E in fondo…chi se ne frega…mica lavoro all’ anagrafe…che lavoro scialbo deve essere lavorare all’ anagrafe, quasi peggio che insegnare ad un mucchio di capre del nostro calibro –Come scusa ?- Ha detto qualcosa ma perso com’ ero neanche l’ ho sentita…forse me lo devo prendere il caffè.
-Ho detto: tu invece la conosci ?- Sta facendo la spiritosa arrabbiata o la spiritosa divertita…cavoli ci vuole il dizionario con le ragazze.
-Certo che la conosco, è dal 98 che mi serve caffè questa bellezza! Anche se forse caffè è una parola grossa…diciamo caffeina sciolta in acqua stagnante…ma a me piace !-
Lei continua a guardarmi come se fossi un nuovo e interessante tipo di insetto…o come se fossi Apollo con tanto di cetra e capelli biondi; non riesco proprio a capirle !
-Allora forse se gli dici qualcosa tu me li accetta questi 10 centesimi !- Ragazzi, un momento di attenzione: era un sorriso quello ? Dico, non una smorfia, un sorriso vero ? Con quel sorriso potrebbe anche dirmi di buttarmi dalla finestra del bagno, e credo che non dissentirei troppo.
Le prendo di mano i centesimi (ragazzi ma ci siamo sfiorati ? no dico…SFIORATI !) e, con il solito gesto collaudato, li metto nel distributore: BLINK, WHOOM, STACK, VRRRRR.
Li so a memoria i rumori: cade la monetina, il bicchiere arriva a destinazione, il bicchiere viene appoggiato, il caffè esce.
Lei mi guarda abbastanza compiaciuta –Grazie…me la devi insegnare quella mossa !- Vederla sorseggiare il caffè (notare…il caffè che ha preso grazie a me !) è un vero piacere.
Mi guardo attorno, è suonata la prima campanella, la scuola si sta riempiendo, devo salire in classe –Scusa, ma tu che classe fai ?- sai com’ è…meglio chiedere: ogni lasciata è persa !
-Faccio il I B ! Vienimi a trovare qualche volta…magari mi insegni il trucchetto per infilare la moneta-
-Puoi contarci ! Ciao-


Apro gli occhi.
Mio Dio che sogno…avevo di nuovo 18 anni…ero a scuola.
Susanna, mia moglie, entra in camera con il caffè mattutino, altro che quella broda che bevevo a scuola ! Mi sorride, le sorrido…in fondo non è cambiata tanto da quando faceva la I B…sarà il caffè !